Questo è il titolo che Lionel e Monique Héron hanno dato a una loro conferenza nella quale raccontano la loro esperienza. Con loro e con i loro sei figli, fra i quali Thibaut — di cui in un giorno di giugno si venne brutalmente a sapere che era affetto da una terribile malattia —, impariamo a vivere la nostra vita come un «pellegrinaggio»: ogni giorno ha la sua tappa e la sua grazia.

Lionel
Fino al maggio del 1980 siamo stati una famiglia cristiana, felice e senza storia. Una bambina e cinque ragazzi erano la nostra gioia. Il più piccolo, Thibaut, molto bello, sorridente all’apparenza di perfetta costituzione fisica, ci rendeva tutti felici.
Notavamo però che si sviluppava più lentamente dei fratelli. Non correva in maniera sciolta, faceva fatica a saltare ed evitava si salire le scale…

Monique
Consultai numerosi medici. Sembrava che si trattasse solo dei piedi che erano un po’ piatti e delle ginocchia leggermente convergenti.
Quando Thibaut compì sei anni consultai un altro pediatra e dopo due esami del sangue ebbi la orribile notizia: Thibaut aveva una terribile malattia muscolare congenita, una miopatia. Seppi che a dieci anni non avrebbe più potuto camminare e che i suoi muscoli sarebbero stati progressivamente distrutti.
Fu come lo scoppio di una bomba e non ne parlai a nessuno: i miei ragazzi più grandi erano sotto esami e Lionel viaggiava molto.
Thibaut stava per perdere, ancor prima di averli sviluppati, molti dei doni che Dio gli aveva dato. Non sarebbe mai stato un’atleta, come era stato mio padre. E la sua voce, che avrebbe potuto essere particolarmente bella, cosa sarebbe diventata senza un respiro normale? Era la fine della sua gioia di vivere, di quel suo atteggiamento disponibile e senza complessi con cui si rivolgeva ai compagni?
Thibaut… in carrozzina, e poi…? Andai da un professore a quell’epoca specialista nelle miopatie. Fu la conferma definitiva: sì, Thibaut aveva davvero una «Duchenne de Boulogne» e la malattia aveva nel suo caso una evoluzione rapida.
Che dire della muta indignazione che mi soffocava quando uscii? Mi era stato detto aH’incirca così: «E’ tanto semplice oggi-giorno evitare questi incidenti: quando una madre sa di essere portatrice di un gene — e ci sono esami sempre più sicuri che lo provano — ed è incinta di un maschio la sottoponiamo all’aborto “terapeutico”». Come? Avevamo cinque figli di cui eravamo orgogliosi: il maggiore si preparava a diventare medico, i gemelli crescevano deliziosamente insieme e Dominique, che aveva allora quasi dieci anni, era così serio, così maturo e nello stesso tempo così divertente. Li avrebbe uccisi. Dottore? Che bel massacro! E Benedicte, la nostra figlia, perché avrebbe dovuto essere risparmiata? Non avrebbe potuto più tardi trasmettere la malattia? E Thibaut… certamente. Quale pressione, Dottore, lei avrebbe esercitato su di me che durante i primi quattro mesi di una difficile gravidanza ero rimasta a letto con tutti gli altri cinque figli in casa? Quali colpe lei, se lo avesse saputo, mi avrebbe addossato quando ero incinta di lui?
In ogni caso, secondo lei, da ora in poi il posto di Thibaut è in un centro specializzato, non è vero dottore? E’ soltanto là che egli potrà essere ben curato. Strano, Thibaut sta per perdere tutti i suoi muscoli, lei è impotente a guarirlo e in più vorrebbe separarlo da tutti quelli che gli vogliono bene! E noi siamo tanti intorno a lui, ci sono più di quaranta zii e quasi cento cugini che sentiamo molto vicini.
Credo che questa indignazione mi abbia molto aiutata.
Thibaut era là, oggi lo stesso di ieri, sempre molto amato e affidato a noi da Dio per elevarlo a Lui; Thibaut al quale, come a noi, era stata promessa la vita eterna. Pregai. E presto mi sentii capace di parlarne a Lionel.

Lionel

Dopo avere portato da sola tutto questo per più di un mese Monique alla fine divise con me il suo fardello e lo fece con una grande calma. Fu una meraviglia e una grazia! Mentre io ero sconvolto ella seppe dire queste parole meravigliose: «Caro, questo però non cambia niente».
Non cambia niente? Da un certo punto di vista era vero, la vita continuava e sarebbe continuata. Non cambiava niente ma, nello stesso tempo, cambiava tutto. Molte cose che ci erano parse importanti sarebbero diventate secondarie. Prima di tutto mi sarei battuto perché Thibaut guarisse. Dio infinitamente buono e onnipotente non lo avrebbe guarito presto se lo avessimo domandato con forza?
Monique aveva reagito con la sua grazia di donna e di madre: «Questo non cambia niente». La mia reazione fu completamente diversa, forse più maschile. Avevo bisogno di reagire, invocai Dio come testimone di ciò che stava succedendo e lo supplicai di venire in nostro soccorso. Pochi minuti dopo mi venne l’idea di andare a piedi a Lourdes da Versailles dove abitavamo.
La mattina del 2 agosto mi misi in viaggio. La prima giornata fu atroce: dopo trenta chilometri, senza fiato e dolorante dappertutto mi accasciai davanti al convento delle «Oranti di Bonnelles». La Madre Superiora si preoccupò: «Soffre di cuore?» e aggiunse: «Sa, la Santa Vergine è anche a Chartres! ».
Dopo due o tre giorni il mio corpo si abituò e imparai a trovare un ritmo tranquillo fatto da una parte di contemplazione e di preghiera e dall’altra di sforzo fisico regolare. Una cosa mi colpì: il posto che prende l’Eucarestia per colui che cammina: è l’alimento, la sorgente, il respiro. E’ allora che il Signore, con delicatezza, fa spesso in modo di incontrare colui che lo desidera.
Un giorno dovetti mettermi in strada senza avere potuto assistere alla messa del mattino. Il pomeriggio, in un altro villaggio, entrai in una chiesa. Dopo un momento di preghiera e di riposo uscii gettando lo sguardo sull’orario delle celebrazioni per quella settimana: c’era scritto che mercoledì 6 agosto ci sarebbe stata una messa alle 15,30. Erano le 15,29… Questi sono i sorrisi della strada e «l’occhiolino di Dio», come usiamo dire in famiglia.
Presto riuscii a scoprire meglio il senso del mio pellegrinaggio. Questa marcia era una preghiera lunga, lenta, che impegnava anche tutto il mio corpo, una preghiera che affidava a Dio Thibaut e noi con lui. La reazione brutale dell’inizio divenne una ricerca di Dio. Da un certo punto di vista avrei voluto chiedergli una spiegazione. Mi rispose silenziosamente: Egli era là ogni giorno, mi accompagnava e ciò che facevo gli piaceva. Era proprio un insegnamento per la nostra vita con Thibaut: «vivere giorno per giorno». Questa marcia divenne il simbolo di ciò che doveva essere la nostra vita. Se tu vai avanti, se tu hai fiducia, vedrai che non sei solo. Ogni giorno ha la sua tappa, ogni giorno l’amico che condividerà, ogni giorno il suo pane, il suo Pane Vivo.
Monique mi raggiunse a Lourdes con Thibaut e Dominique. Thibaut non era guarito. Questo pellegrinaggio ci aveva però portato tanta gioia e tanta unità che qualche anno dopo tutta la famiglia si mise per strada verso un santuario. Scoprimmo allora la gioia di dividere Thibaut tra noi e con coloro che incontravamo.

Monique
Così, giorno dopo giorno, noi viviamo la speranza nel quotidiano. E’ una fiducia totale (paradossale per alcuni) nella paternità di Dio che ama Thibaut infinitamente più di noi e non può volere che la sua felicità. Insieme a Thibaut l’avvenire è incerto, ma noi siamo tranquilli. Rifiutiamo di lasciarci intimorire da un «dopo» spaventoso. Dio ci dà la grazia della pace per sopportare i pesi reali di tutti i giorni. La speranza nel quotidiano è anche condivisione nel quotidiano. I vicini, diventati amici, accolgono Thibaut spesso con gran semplicità. Spesso temiamo che egli ne abusi, ma la loro accoglienza è così affettuosa! Nel nostro casamento ha almeno una mezza dozzina di «mamme» pronte ad accoglierlo!
La speranza nel quotidiano si manifesta anche nel riprendere ogni tanto la strada dove Dio per noi si fa così vicino e nel renderci disponibili a riavvicinarci a Lui. Nella primavera del 1984 fu la volta di Medjugorje.

Lionel
Abbiamo ricevuto tante grazie, tante benedizioni, ma ciò non ci induce a dire che la malattia stessa sia una grazia. La malattia di un bambino è qualcosa di particolarmente rivoltante. Lottare contro questo male, contro questo disordine della natura che è la malattia, diminuirne la sofferenza è per noi un vero dovere. Ecco perché facciamo parte dell’Associazione Francese contro le miopatie (A.EM).

Monique
Siamo infatti nella condizione giusta per sapere il peso di questa malattia e quanto la vita delle famiglie isolate sia difficile e complicata.
Oggi a tredici anni Thibaut non può più usare le gambe e si serve pochissimo delle braccia. Ha perduto metà del suo respiro e la sua schiena è deforme, pesa cinquanta chili e spesso bisogna trasportarlo. Sono io che me ne occupo tutto il giorno. Thibaut deve fare le sue cure quotidiane: bagni caldi, kinesiterapia, aiuto respiratorio. Può seguire normalmente gli studi, ma bisogna trasportarlo in classe. Ha bisogno di apparecchiature pesanti: la carrozzella elettrica, la scrivania davanti alla quale è costretto a restare in piedi, e altre. Io l’aiuto a lavorare. Di notte non è capace di voltarsi nel letto e spesso ci chiama. Lionel e io abbiamo preso l’abitudine di svegliarci a turno per rispondergli. Abbiamo attrezzato l’automobile per farci entrare la sua carrozzina. Tra poco lasceremo il nostro appartamento per trasferirci a piano terra. E quante pratiche amministrative!
Malgrado le complicazioni Thibaut è felice quando ci mettiamo in cammino verso i luoghi dove troveremo risorse spirituali, bellezza e amicizia. Prega con grande naturalezza. «Saliamo verso il Signore» ci disse una volta quando prendemmo la strada che si arrampica verso Medjugorje. La sera è lui che ci riunisce nella sua camera per la preghiera e quando ci sono degli amici invita anche loro.

Lionel
Noi non possiamo che accompagnare il nostro bambino nella sua preghiera di ringraziamento: «Grazie, Signore, per questa bella vita che TU ci hai dato». Non ringraziamo per la malattia di Thibaut, ma perché, se è chiaro che non è Dio che manda la sofferenza… è chiaro che Egli permette, o meglio realizza Egli stesso, la trasfigurazione di ogni sofferenza accettata e offerta. Non è una gioia vera e un privilegio partecipare attraverso tutto questo, modestamente ma realmente, al mistero centrale della nostra fede, la morte e la resurrezione di Cristo?

Lionel e Monique, 1992 – tratto da O. et L. n. 82

La speranza nella vita quotidiana. Con nostro figlio affetto da miopatia ultima modifica: 1992-03-05T08:49:46+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.