Avevo sei anni quando è nata Anna Maria. La gioia di avere una sorella con cui giocare e crescere in allegria fu pre sto funestata dalla coscienza che la sua malattia non sarebbe stata qualcosa di transitorio, ma lavrebbe accompagnata per tutta la vita.
Le sue difficoltà di crescita e di comu nicazione ben presto cominciarono a condizionare la nostra vita familiare.
All’inizio io percepivo solo che questa sorellina tanto carina, ma più debole delle altre bambine, aveva maggior bisogno di assistenza e di impegno. Crescendo, pian piano, mi resi conto che molto si sarebbe potuto fare per migliorare una sua certa autonomia ma i tem pi non erano maturi per aiutare i bambini come lei nel recupero delle così dette capacità residue.
Ho davanti a me Vimmagine di mia madre che peregrina da un dottore all’altro nella speranza di riuscire ad ottenere dei risultati. Presto fu chiaro che questa creatura, che pure a me sembrava avere molte potenzialità, non avrebbe potuto contare su strutture riabilitative adeguate.
Mentre mia madre si rassegnava progressivamente ad avere un’invalida irrecuperabile, dentro di me sentivo crescere la responsabilità nei suoi confronti.
Dapprima era solo l’attenzione ad evitarle situazioni pericolose; poi, maturando in parte le sue facoltà psicologi che ed instaurandosi fra noi un discorso seppure elementare, il problema del suo futuro diventava sempre di più legato a quello del mio.
L’affetto che, sempre più responsabile, mi legava a lei, non poteva farmi pensare di interrompere questo rapporto che, anche se elementare per via del suo handicap, si arricchiva sempre di più, sostanziandosi in uno scambio di valori che erano sempre più importanti.
Mi accorgevo che dandole la mia attenzione, riflettendo sui modi di riuscire a comunicare sempre meglio con lei, anche la mia personalità cresceva e si arricchiva, mentre acquistavo una visione della vita più ampia e più profonda dei miei coetanei che non avevano questo problema.
Prendevo coscienza che la realtà di persone umane non autosufficienti sul piano fisico e psicologico aveva quasi un che di provvidenziale; quasi che la loro esistenza ci costringesse ad uscire dal nostro individualismo recuperando a noi stessi valori umani di sohdarietà e di innocenza che altrimenti potevano perdersi nella ricerca esasperata di un egoismo sterile.
Negli anni questa convinzione si è andata sempre più rafforzando con l’esperienza. Oggi, dopo la morte dei miei genitori, il mio senso di responsabilità verso Anna Maria si è andato sempre più arricchendo; ormai la mia vita è talmente intrecciata con la sua, ed è talmente grande la sua fiducia ed il suo considerarmi come suo ultimo punto di riferimento, che la mia responsabilità si è trasformata in una sorta di maternità disincarnata ed allargata anche a tutti coloro che come lei soffrono e vivono una vita diversa.
Questo allargamento del mio senso di responsabilità mi ha portato, negli anni, ad impegnarmi attivamente nelle associazioni che raggruppano genitori e parenti di portatori di handicap.
Purtroppo devo dire che oggi che mia sorella è adulta ed è rimasta orfana, la situazione delle strutture di sostegno alla famigha e di riabilitazione non è cambiata di molto specialmente nella città di Roma.
Qui appunto mancano del tutto quelle strutture residenziali, come comunità alloggio o case-famiglia in ogni circoscrizione, che consentirebbero agli orfani handicappati di rimanere nel loro territorio, di conservare i legami affettivi con i fratelli e l’ambiente, senza pesare in modo insostenibile su di loro.
Proprio per consentirle la vita nel suo quartiere, alla morte dei miei genitori, ormai da sette anni, ho assunto il rischio — che considero ancora provvisorio — di lasciarla nella sua casa, organizzandole un’assistenza che, anche se parzialmente pubblica (in quanto Anna Maria frequenta un centro diurno) è per lo più privata, con costi altissimi in denaro, ma ancor di più con un impegno gravosissimo da parte mia che pure ho famiglia da accudire, e da parte di mia sorella suora che ha anch’essa i suoi doveri come appartenente ad una comunità.
– Paola Mazzocchi, 1990
Questo articolo è tratto da Ombre e Luci n.29, 1990
Sommario
Sorelle e fratelli
Forse è per mia sorella che sono «così» di T.M.
Non carichiamoli di un peso eccessivo di M. Bertolini
Sentivo crescere la mia responsabilità di P. Mazzocchi
Radiografia Ombre e Luci
Chi siamo di Redazione
Case famiglia, iniziative e centri di accoglienza per disabili presentati dal 1983 al 1989 di Redazione
Rubriche
Libri
Bambini autistici a scuola Pascal Neau
Jean Vanier – Un profeta del nostro tempodi Gilles Lavarrière
Corso per corrispondenza per genitori di bambini Down di Salvatore Lagati