Il testo che segue è tratto dall’ormai famoso libro autobiografico di Chistofer Nolan «Sotto rocchio dell’orologio», (qui la nostra recensione). Ci sembra introduca bene nel cuore di questo numero dedicato alle persone colpite da paralisi cerebrale (persone erroneamente definite «spastiche»).
La varietà e la minore o maggiore gravità dei danni provocati prima, durante, o dopo la nascita, impediscono di offrire testimonianze che descrivono ogni situazione. In questo numero perciò abbiamo lasciato maggiormente la parola a chi poteva in prima persona parlare delle difficoltà, dei superamenti, delle frustrazioni e dei successi che si possono avere in una vita così gravemente messe alla prova da un fisico che imprigiona e a volte, annienta la comunicazione, l’autonomia, la libertà. Siamo grati a chi ci ha aiutato, parlando di sé, a capire un po’ meglio le enormi difficoltà che presentano le persone colpite da paralisi cerebrale. A queste chiediamo di continuare ad aiutare tutti noi a trovare il modo giusto, la pazienza e la delicatezza per saperli incontrare nel loro profondo al di là dell’apparenza a volte così mortificante per loro.

Il sole illuminò quel giorno.
Sdraiato nel suo letto azzurro lui guardava la piacevole immagine di un ricamo infantile.
Nora sorrise serena allorché lo sollevò. Lavatolo e incipriatolo se raccomodò in grembo. Con affetto gli fece scivolare la maglietta sulla testolina bionda. Questa si piegò di scatto in avanti per poi allo stesso modo ricadere all’indietro.
Lui Joseph guardò la madre. La osservò con il suo sguardo addolorato, le labbra che sporgevano, gli occhi intenti a mandar messaggi. Le ordinò di guardare fuori il sole che brillava. Le fissò l’orecchio ordinandole di ascoltare il canto degli uccelli. Poi, saltellandole in grembo le disse ancora di tendere le orecchie ad ascoltare i bambini del villaggio che giocavano nel cortile della scuola. Alla fine derise se stesso. Le mostrò le braccia, le gambe, il corpo inutile. Abbandonandosi alle lacrime scosse la testa. Guardando la madre se la prese con lei, la maledisse, diede voce al suo stizzito: perché perché perché proprio io?
Confusa dalla giovanile asprezza di quella sua capacità di intendere, lei tentò di distrarlo. Lo prese in braccio, lo portò fuori nel cortile della fattoria. «Su, su, ora andiamo a vedere i vitelli», disse cercando di calmarlo.
A lui, desolato, le lacrime sgorgavano ancor più copiose. Sapeva perché la madre cercava di sviare i suoi interrogativi infantili, e, infantilmente, decise che non li avrebbe guardati quei vitelli; scuotendo il corpo, infatti, guardò dalla parte opposta. La madre tornò alla carica. «Guarda gli agnelli laggiù,» disse indicando nei campi le pecore al pascolo. Allora lui pianse così forte da richiamarla alla ragione. «Va bene», disse, «andiamo dentro a parlare».
Sistemandolo nella sedia, si mise poi a sedere di fronte al bambino di un tempo, sì, il suo accusatore dai capelli d’oro. Intanto lui non smetteva di piangere convinto di averla ridotta al silenzio. Guardando poi attraverso le lacrime, la vide chinarsi per guardarlo negli occhi. «Non l’ho voluto certo io che nascessi storpio», disse. «Avrei voluto che fossi pieno di vita, capace di correre, di saltare e parlare, proprio come Yvonne. Ascolta bene, Joseph, tu puoi vedere, puoi sentire, puoi capire tutto ciò che senti, ti piace ciò che mangi, ti piacciono i bei vestiti, sei amato da me e dal babbo. Noi ti vogliamo bene così come sei».
Moccicando, piagnucolando, lui ascoltava la voce della madre. Lei parlava decisa, lui invece emetteva gemiti. La madre disse quel che doveva dire e fu tutto; dopo riprese il lavoro mentre lui continuava a piangere.
La decisione cui si era arrivati quel giorno gli si incise per sempre nella mente. Aveva solo tre anni ma già tendeva all’unica pace che vedeva, il fatto di essere vivo e, ancor più, d’esser accettato per ciò che era.
Un’ansia mortale marcò quella giornata di Joseph Meehan: quella scelta e quel giorno gli restarono impressi per il resto della vita. Il conforto gli venne come viene a un bambino; quel corpo goffo era comunque il suo ma, stimolato dall’amore materno, sbirciò le proprie membra e alla fine Joseph Meehan gli piacque.

 

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Spastici

Cerebrolesi o colpiti da paralisi cerebrale

Ovvero persone (bambini, adolescenti, adulti) il cui cervello (o parte di esso) è stato colpito quando erano nel seno materno, o al momento della nascita, o nel corso di una malattia contagiosa, o a seguito di un incidente nei primi anni di vita.
Le persone colpite da paralisi cerebrale camminano male o per niente. Possono avere un’intelligenza normale, ma’possono anche presentare turbe associate deU’intelligenza, dei sensi o della personalità: ritardo intellettivo, sordità, difficoltà di vista, turbe del comportamento.
In questo numero parliamo di persone colpite da paralisi cerebrale senza ritardo intellettivo. Non pretendiamo esaurire l’insieme dei problemi che queste persone incontrano e, con loro, le loro famiglie. È solo un modesto contributo per avvicinarci alla loro sofferenza e alla loro speranza per cercare di capirli meglio e di poterli meglio aiutare.
Attraverso qualche testimonianza, abbiamo cercato di intravedere le difficoltà della loro vita e i punti d’appoggio che possono trovare in chi li accosta o vuol essere loro vicino; di conoscere la lotta quotidiana dei loro genitori o famigliari; di offrire qualche informazione pratica.
Abbiamo cercato soprattutto di schiudere una porta sulla vita di alcune persone che portano sulle loro spalle una condizione molto difficile e dura da sopportare giorno dopo giorno.
A noi di imparare e di metterci con delicatezza e discrezione dalla loro parte perché non si sentano troppo soli.

 

«Ascolta, bene, Joseph!» ultima modifica: 1990-06-21T11:36:47+00:00 da Redazione

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