Prima di parlare della lezione di speranza che ho ricevuto dai genitori, dovrei evocare la loro sofferenza. Ma non mi sento autorizzato a parlare al loro posto della paternità e maternità ferite. Preferisco che siano essi stessi a dire cosa è stata la scoperta dell’handicap del loro figlio, quale solitudine hanno provato, poi, nel più profondo di loro stessi, e nella vita che, spesso, sono stati costretti a vivere.
È una solitudine spesso drammatica. A volte dura anni interi. Per conoscerne le conseguenze bisognerebbe averla provata. È difficile porre un termine a questa solitudine e molti genitori finiscono per rassegnarsi a tal punto che sembra loro impossibile che le cose possano cambiare.
C’è la paura di nuove delusioni, la mancanza di fiducia, il riserbo di fronte all’altro, l’aggressività che allontana, le troppe sofferenze vissute da soli di fronte al silenzio e, a volte, all’abbandono totale degli « altri ».
In queste condizioni l’incontro è un momento delicato, soprattutto all’inizio; invitare ad una festa, a una messa, ad un incontro Fede e Luce presuppone che si sia già fatta conoscenza, che si abbia avuto il tempo di dirsi: « Vieni… Prova… mi occuperò di tuo figlio… starò con te… verrò a prenderti… ».
E ciò è possibile solo se, da parte loro, i genitori hanno lasciato filtrare una corrente di fiducia, se hanno accettato di fare il passo « per vedere » se ciò che abbiamo, malamente, cercato di spiegare loro, è vero.
Se questo passo è fatto, i genitori diventano a loro volta portatori di speranza nei confronti di amici e di altri genitori.
Nello scorso Giugno, i gruppi Fede e Luce di Marsiglia si sono riuniti per una giornata intera. Abbiamo celebrato la messa. Alcuni genitori, venuti per la prima volta, erano rimasti in fondo alla cappella: « Nostra figlia disturba… ». Una mamma li ha invitati ad avvicinarsi: si ricordava di come lei era stata accolta qualche mese prima e sapeva che a Fede e Luce nessuno « disturba » nessuno.
Luis Sankalé
Questo articolo è tratto da:
Insieme – Speciale Fede e Luce 1981