I campeggi Fede e Luce Alfedena sono cominciati dalla necessità di portare in vacanza alcuni ragazzi ospiti della ex scuola Serena, che, per la gravità del loro handicap erano nella impossibilità di partire. Quest’anno, per la prima volta, il centro Vojta (ex-Serena) ha organizzato un soggiorno estivo al mare con 60 dei suoi ospiti ed alcuni genitori, fratelli, sorelle ed alcuni operatori con i loro familiari. Un’esperienza significativa che ci sembrava giusto ospitare nelle nostre pagine. Il reportage è di Manuela Bartesaghi

Venti giorni al mare. Andata e ritorno in treno. Per qualcuno è stata la prima volta: la prima volta che saliva sul treno, o la prima volta che metteva i piedi nell’acqua salata, o la prima volta che dormiva in albergo, che aveva una camera tutta per sé, o con la doccia. E anche per tanti genitori è stata la prima volta che il proprio figlio partiva per le vacanze, vacanze un pò diverse dalla solita colonia, o dalla gita rella a Fregene. Dunque tante prime volte che rendevano ancora più emozionante l’idea della vacanza al mare.

Anche il treno che portava i ragazzi al mare ha fatto uno strappo alla regola: era un treno rapido, di quelli che si fermano solo nelle grandi stazioni, quel giorno si è fermato anche a Marina di Camerota, per far scendere i “nuovi turisti”. E i nuovi turisti erano tutti pronti per l’avventura: acconciature marine all’ultima moda (cioè capelli non più lunghi del centimetro e mezzo) secchielli, palette, salvagenti, cappellini per il sole e tanta voglia di diventare più neri del carbone.

Ma il giorno dell’arrivo di nero c’era solo il cielo, che proprio per prepararsi a fare venti giorni di bel tempo, aveva deciso di scaricare tutta l’acqua che si ritrovava dentro. Un temporale mai visto… ma che forse voleva perché ha smosso tutta la gente che stava alla stazione di Marina di Camerota, passeggeri in attesa di altri treni, personale delle ferrovie, ragazzi del paese, tutti si sono dati da fare per aiutare i “turisti” a scendere dal treno.

E poi, finalmente, venti giorni di vacanza con tanto sole, tanto mare, tanti pranzi e tante cose nuove. Cristina racconta: “E’ stato bello perché c’era il mare e l’aria buona. L’aria era proprio buona… E poi c’era l’albergo, che io non ci ero mai andata. Allora una mattina ho pensato di fare come nei film della televisione, e ho telefonato giù che volevo il caffélatte in camera… Se son messi tutti a ridere…”

Cristina ha vent’anni, parla bene e se non la si ferma, non smetterebbe mai. Spiega che la cosa più bella che c’era al mare, era un jukebox con i dischi: “Vedi, gli handicappati certe volte sono tristi, poveretti. Allora lì c’era il jukebox con la musica, e allora la musica entra dentro le orecchie e succede come un convegno che non sei più triste…”

E la tristezza non c’è stata per Cristina al mare: era così contenta di essere là con la sua signora Mariella, “che poverina, era stanca perché aveva tanto da fare con gli handicappati, che doveva organizzare, parlare, starci dietro, così io l’aiutavo. Prendevo una bambina e gli davo da mangiare, così la signora Mariella non si stancava. Insomma io al mare ho aiutato, è stato tanto bello… Poi andavo anche a fare il bagno e non sono mai annegata, perché c’era la signora Mariella che mi faceva nuotare senza annegare. E poi abbiamo fatto le passeggiate sulla spiaggia e venivano anche i ragazzi del paese…”

Anche Marisa e Daniela, amiche inseparabili, raccontano che a Marina di Camerota la gente è stata gentile, nei loro confronti. Marisa dice: “Certe volte anche qui a Roma la gente ci guarda, ci fissa… E io dico: non c’è niente da vedere se non sono una persona uguale a voi… Ecco, al mare la gente non ci guardava così: veniva a sentire i dischi con noi, cantavamo insieme, parlavamo, e poi alla sera io e Daniela avevamo un sacco di cose da raccontarci. Era una cosa stupenda anche se non uscivi, perché appena andavi alla finestra si vedeva il mare.” Un genitore spiega: “Questa di Marina di Camerota è gente semplice, ma da questa semplicità traspare una cultura molto profonda. Cioè hanno dimostrato di avere una grande sensibilità e non si sono scandalizzati nel vedere tanti guai messi insieme in una sola volta”.

Le assistenti raccontano che il personale della cucina dell’albergo si affacciava a pranzo e a cena, per vedere se tutti avevano mangiato, se per caso non servisse qualche altra pietanza o qualche piatto “bis”. Resta il fatto che, vuoi con il “bis” di pastasciutta, vuoi con l’aria ed il sole, i ragazzi del centro Vojta sono tornati a Roma rifioriti. I genitori sottolineano alcuni cambiamenti: di notte qualcuno dorme di più, qualcun’altro ha sempre voglia di uscire, quando prima non lo faceva mai, qualcun’altro ancora non ha più paura di farsi la doccia. Marisa si fa interprete dei suoi compagni: “Anche se alcuni, più di altri, non possono parlare, sicuramente è stata una cosa bellissima per tutti”. Dunque venti giorni di felicità. Un esperimento andato bene, che sicuramente avrà un seguito.

Sopra la testa di Cristina, di Marisa e di Daniela, ospiti oggi del Centro Vojta c’è un quadretto con una massima di Confucio: “Meglio accendere anche il più piccolo lumicino, che maledire l’oscurità”.
Allora il viaggio in treno, la vacanza al mare, i bagni senza “annegare”, i dischi e la gente del paese, i bis di pastasciutta, diventano tanti lumicini che messi insieme accendono le speranze di tanti ragazzi e di tante mamme.

Manuela Bartesaghi, 1980

Questo articolo è tratto da:
Insieme n.27, 1981

Marina di Camerota: venti giorni di prime volte ultima modifica: 1980-12-16T16:50:34+00:00 da Manuela Bartesaghi

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