«Caro Jean, perché, a proposito dei disabili, “lo sguardo tarda a cambiare”? È un cambiamento epocale quello che ci viene richiesto, perché concerne l’idea stessa di umanità» scrive Julia Kristeva. Siamo separati dai muri, risponde Vanier, che ergiamo intorno ai nostri cuori per impedire all’altro, a chiunque sia diverso, di entrare in noi: «Quei muri si sollevano dentro di me, dinanzi a chi mi disturba, a chi attacca la mia libertà, mi contraddice, ha certezze o impulsi diversi dai miei».
Lo sguardo di cui parlano Vanier e Kristeva nel libro Il loro sguardo buca le nostre ombre (2011) è quello di un umanesimo nuovo, di un diritto naturale da reinventare, passo dopo passo. Passo dopo passo, dentro e fuori di metafora. È dagli sguardi che incrocio passeggiando con Massi che, da sempre, capisco quanto disorienti, spaventi, l’handicap.
Nella mostra Der (im)perfekte Mensch (“L’essere umano (im)perfetto”), organizzata nel 2001 a Dresda dal Museo Tedesco dell’Igiene, venivano riconosciute sei categorie principali di sguardo sul disabile: lo sguardo meravigliato e medico; lo sguardo annichilente; lo sguardo pietoso; lo sguardo d’ammirazione; lo sguardo strumentalizzante; lo sguardo che esclude. Aggiungo io lo sguardo insistente (che Massi ha subito nei primi dieci anni di vita) per capire se il soggetto ha davvero qualcosa.
Il piu sgradevole è lo sguardo pietoso, ma quello che nell’elenco e nella vita reale manca è lo sguardo naturale, a volte complice, altre sorridente, altre, semplicemente, distratto. Però, data la complessità del problema, non mi pare serva a molto una colpevolizzazione generalizzata.
Sartre diceva che non possiamo prendercela per quello che gli altri pensano di noi perché siamo stati noi a farglielo pensare. E, nostro malgrado, è molto probabile che il nostro sguardo a volte sia espressione di malessere, paura, iperprotettività, quando non acredine o rancore: poco da stupirsi se chi lo incrocia, svia.
Iacopo Melio – un “nato comodo” come ama definirsi – ha stilato una specie di manifesto sulla terminologia corretta della disabilità, con la speranza di chiarire una volta per tutte come è meglio relazionarci ad essa. «Prima regola: la disabilità non è una malattia, bensì una condizione nella quale non riusciamo a fare qualcosa, in parte superabile se mettessimo a disposizione gli strumenti giusti (una carrozzina, un computer, un ascensore, un servizio di assistenza…). Per questo motivo sono assolutamente bandite tutte quelle parole (o figure) che rimandano a un concetto di disabilità come sofferenza e dolore, impedimento o costrizione, incapacità. Seconda regola: dobbiamo smetterla di vedere/presentare le persone con disabilità come persone speciali o eroi: questi termini sono il massimo del pietismo e della compassione, il modo migliore per discriminare chi vorrebbe essere trattato in modo semplice, spontaneo e naturale. È corretto dire: – Niente… Assolutamente niente! Anziché enfatizzare la “condizione” di una persona con disabilità, vedendo come eroico il gesto più semplice che questa possa compiere giusto per darle una simbolica pacca sulla spalla (che è la cosa più fastidiosa che possa esserci), trattatela esattamente come tutti gli altri».
Dovremmo chiedere a Iacopo di stilare un manifesto anche per gli sguardi. Personalmente suggerisco quello di partenza: sguardo di semplice domanda (cui sarà naturale rispondere). Come si chiama? Che è successo? Che tipo di vita fate? È davvero una tragedia?
Massi/Ciccio, nessuna tragedia, tanta fatica, quella sì, ma come per tutto, lungi l’apologia dell’handicap, ma sono tante di più le cose positive. A cominciare dall’entourage. Massimiliano involontariamente seleziona, chi resta è una goduria.
Si, ma dopo, che succederà? È vero gran pensiero, però ci organizziamo e poi se cambiasse il modo di guardare la faccenda, sarebbe più facile. Ma c’è tanto da fare, tanti preconcetti nocivi per tutti, diamoci una mano. Bussate e vi sarà aperto, guardiamoci con empatia e sarà tutto più facile.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 148, 2019

Ombre e Luci n. 148

SOMMARIO

Editoriale
Sconvolti e trasformati di Cristina Tersigni

Focus: L'incontro con la disabilità
La mia caduta da cavallo di Annick Donelli
Quegli anni tra Boston e Chicago di Luca Badetti
Tenera e magnetica di Serena Sillitto
Vittorio e la zia Minni di Maria Novella Pulieri

Intervista
Unica nel suo genere di Cristina Tersigni

Testimonianze
Lo sguardo sulla persona con disabilità di Nicla Bettazzi

Dall'archivio
Per la prima volta lontano da me di Rita Ozzimo

Associazioni
Una breccia nel muro di Cristina Tersigni

Fede e Luce
Chiamare per nome la paura della Comunità Edelweiss

Spettacoli
Non tutto è buio di Claudio Cinus

Rubriche
Dialogo Aperto n. 148
Vita Fede e Luce n. 148

Libri
La straniera di Claudia Durastanti
Who Is My Neighbor? di Amy-Jill Levine e Sandy Eisenberg Sasso
Vite straordinarie 2 di Superabile INAIL
Con occhi di padre di Igor Salamone

Diari
In curva sud di Benedetta Mattei
Mio cugino Paolo di Giovanni Grossi

Lo sguardo sulla persona con disabilità ultima modifica: 2019-12-02T14:11:41+00:00 da Nicla Bettazzi

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