La mia prima volta a San Roberto era una domenica di elezioni: «Non è proprio la casetta ideale per capire cos’è Fede e Luce ma tu vieni comunque a conoscere i ragazzi» mi disse Anastasia. Quella domenica scadeva il mandato di Marco, il vecchio responsabile, e bisognava eleggere il nuovo, come succede, venni poi a sapere, ogni tre anni in tutte le comunità di Fede e Luce sparse nel mondo.
Quel giorno, dopo che tutti fummo seduti in cerchio, mi ritrovai ad assistere – un po’ stupita e un po’ rapita – a una via di mezzo tra un conclave e una seduta di autocoscienza a cui la comunità si sottoponeva per tirar fuori la sua nuova guida, che la Costituzione di Fede e Luce del 2008 preferisce chiamare “coordinatore di comunità”. Tutti a Fede e Luce siamo chiamati – scoprii dopo – alla responsabilità, sia come singoli individui sia come movimento ma poi c’è chi è chiamato a vivere un quid pluris, che il “quaderno del responsabile” spiega chiaramente nei termini di servizio alla visione, alla comunione e all’organizzazione.
Quello del coordinatore è l’unico caso in cui la Costituzione di Fede e Luce parla esplicitamente di servizio: il carisma del nostro movimento è quello di “creare legami di fiducia e di amicizia fra i suoi membri, legami che si fondano e si compiono in Gesù” come dice la Charta, «non fare per ma stare con» direbbe Nicla, mamma di Massimiliano e amica della mia comunità (è una frase che ripeto spesso perché, a mio avviso, riassume alla perfezione Fede e Luce).
Le elezioni previste quel giorno mi sembrarono di una lungaggine estenuante: mai mi era capitato di partecipare a un’elezione in cui non fosse sufficiente esprimere una preferenza su una scheda e aspettare l’esito dello spoglio. Solo negli anni a venire, compresi l’importanza di quella durata.
A Fede e Luce, durante le elezioni si parla moltissimo, sia prima, per spiegare a tutti cosa e perché si vota, sia durante, per esprimere le proprie idee, e sia dopo, per dare voce a chi ha messo nelle mani della comunità il suo “sì” o il suo “no”! La prima votazione è una specie di giro elettorale di riscaldamento: ciascuno scrive su una scheda i nomi di due potenziali candidati. Da questa rosa di nomi inizia il “discernimento”: le persone più votate sono chiamate a uscire, una per volta, per consentire a tutti i membri della comunità di esprimere liberamente la propria opinione in merito. “Sacerdote” di questo rituale è un amico di un’altra comunità, l’occhio esterno, che guida la dialettica del discernimento e le operazioni di voto, proclamando, alla fine, il nuovo coordinatore. La Costituzione dice che può essere eletta una sola persona o al massimo una coppia di coniugi ma negli anni la doppia responsabilità è stata spesso scelta da comunità numerose come la mia.
Sono passati poco più di dieci anni da quella prima casetta e mi è capitato spesso di partecipare, con ruoli diversi, a elezioni fedelucine. È sempre illuminante, sia nel momento del ringraziamento al coordinatore uscente sia nel discernimento sul nuovo, sentire i ragazzi spiegare perché un amico li fa star bene o li fa sentire importanti. Quando siamo presi dai mille rivoli dell’organizzazione perfetta, ricordiamocelo che la meta è lo “stare con”: «Gratuitamente avete ricevuto» dice Gesù, «gratuitamente date».

La matassa del discernimento

L’aspetto fascinoso del discernimento è quello di accedere ad una dimensione nuova del proprio modo di pensare e di procedere. Ci mette nella situazione di chiederci: qual è il bene da fare qui ed ora? Recentemente sono stato invitato a collaborare per aiutare la comunità di Scisciano in Campania ad individuare il nuovo responsabile della comunità.
Fare le cose in modo pratico agevola la comprensione e ho preparato, per ciascuno dei membri della comunità, una piccola matassina di lana formata da tre fili di diverso colore opportunamente ingarbugliati tra loro. Ciascuno dei presenti è stato invitato a “dipanare” in silenzio la propria matassina sapendo che uno dei fili rappresentava se stesso con le proprie simpatie e antipatie, con i propri giudizi. Un secondo filo rappresentava l’insegnamento di carità che proviene dal Vangelo attraverso la figura di Gesù. Il terzo filo rappresentava che cosa significa servire in Fede e Luce.
Sbrogliare la matassa ha permesso di entrare in contatto con tre voci interiori: di non esorcizzare il buono o il cattivo di sé stessi ma di tenerlo a bada; di interrogarsi alla luce del Vangelo; di abilitarsi a scegliere con autentica libertà. (Bruno Galante)

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 147, 2019

SOMMARIO

Editoriale
Chi cura le anime? di Cristina Tersigni

Focus: Spiritualità e disabilità
La Chiesa ci accoglie davvero? di Giulia Galeotti
Uno dei tanti di Roberto Brandinelli
Ma stai pensando a me? di Sergio Sciascia
Una dedica che andrebbe cambiata di Gianni Marmorini
Per una teologia meno disabilitante di Luca Badetti

Intervista
Lucrezia e il Marco di ieri e di oggi di Giulia Galeotti

Testimonianze
L'alfabeto che manca di Serena Sillitto

Dall'archivio
Cosa dirvi di più? di Stéphane Desmandez

Associazioni
Catalogo di prelibatezze di Enrica Riera

Fede e Luce
A metà tra un conclave e una seduta di autocoscienza di Serena Sillitto

Spettacoli
Il cantiere delle buone notizie di Alessandra Moraca

Rubriche
Dialogo Aperto n. 147
Vita Fede e Luce n. 147

Libri
La tua vita e la mia di Majgull Axelsson
Questa è bella! La storia di Rospella di Anna Sarfatti
Per tutti persone di Azione Cattolica Ragazzi
Amore caro di Clara Sereni

Diari
Sempre di Benedetta Mattei
Ogni tanto dobbiamo svagarci di Giovanni Grossi

A metà tra un conclave e una seduta di autocoscienza ultima modifica: 2019-10-28T17:11:25+00:00 da Serena Sillitto

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