Dieci anni sono già trascorsi da quando ho iniziato con alcune amiche ad occuparmi del laboratorio L’Alveare. Da dieci anni, da ottobre a giugno, ogni giovedì dalla 16 alle 19 ci siamo ritrovati in 10, 15, 20 persone, amici e ragazzi disabili mentali, per stare insieme. Per ideare ed eseguire piccoli oggetti destinati ad essere esposti e venduti, per parlare insieme, per prendere il tè, …ma soprattutto per lavorare. Ora è tempo di bilanci per noi amici assistenti e per gli amici disabili.
In questi giorni ho fatto, per mio conto, per quanto mi riguarda un piccolo consuntivo personale ed ecco il risultato.

Ho imparato:

Da Maria, il piacere del dono: tante volte l’ho vista arrivare con fiori e foglie per le nostre composizioni, con le mele e le castagne del suo podere, con il pacchetto per il tè, con piccole caramelle che ci offriva silenziosamente durante il lavoro. E il suo viso irradiava gioia e soddisfazione.

Da Annunziata, l’autentica passione per il lavoro bene eseguito, la soddisfazione esibita per i complimenti degli amici, l’esultanza nel risolvere insieme una difficoltà, nel trovare il colore giusto, il fiore più adatto.

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Da Stefania, la incontrollabile gioia del rivedersi, l’importanza del saluto affettuoso, delle espressioni di amicizia, il calore che deriva dal sentirsi scelta e importante per qualcuno.

Da Giacomo, il valore dell’accoglienza. Niente a che vedere con i nostri “benvenuto… come va… felice di vederti”. No, quella di Giacomo è una danza di gioia per il nuovo venuto, una festa improvvisata. Si deve cantare, battere le mani, comunicare ufficialmente l’evento, accendere candele, mangiare dolci, possibilmente.

Da Silvia, la serietà nell’impegno e la forza di volontà che le hanno permesso di vincere stati d’animo diversi, malinconie e scoraggiamenti, nell’incontro con gli altri, nel desiderio di fare, di collaborare, fino a ritrovare il piacere dello stare insieme e della solidarietà.

Da Pietro, lo sforzo di adattarsi a situazione diverse, di controllare la propria forza, la propria esuberanza per le necessità e il bene comune, insieme al piacere di “esplodere” ogni tanto per smuovere e rallegrare l’ambiente.

Da Antonio: la semplicità nell’affidarsi all’altro, nell’accettare serenamente i propri limiti. È prezioso il suo senso dell’umorismo che nasce da una particolare osservazione della realtà e che gli consente di spegnere con un sorriso furbo e paziente allo stesso tempo, la frase, la situazione, il rimprovero “stonato” perché – ci ricorda Antonio – quello che solo veramente conta è che siamo amici, che stiamo insieme: su tutto il resto si può sorridere e anche ridere…

Da tutti la fedeltà all’impegno personale insieme alla capacità di saper perdonare, dimenticare o giustificare la poca fedeltà degli altri, i limiti, le incertezze, gli errori degli altri.

Tutto questo ho imparato in questi anni. Inoltre sono diventata più esperta nel “bricolage” (non sapevo fare niente del genere), ho scoperto di poter realizzare insieme ad altri tanti oggetti che piacciono e vengono acquistati, ho stabilito delle belle amicizie, ho passato pomeriggi interi, a volte anche faticosi, ma sempre immersi in un clima di amicizia, di ricerca, di festa.

Ecco cosa ho imparato e provato in questi ultimi dieci anni ma tanto, lo so, chi non sperimenta un laboratorio così non può credere possibile tutto questo.

Maria Teresa Mazzarotto, 1999

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.64, 1998

Sommario

Editoriale

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Ognuno a suo modo di M.T.Mazzarotto
Decalogo per insegnare alle persone con difficoltà di Redazione
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Ognuno a modo suo ultima modifica: 1998-12-10T15:27:50+00:00 da Maria Teresa Mazzarotto

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