A Pasqua 1971, a Lourdes, il calore del pellegrinaggio di Fede e Luce mi ha toccata ma sono stati necessari due anni, dal mio ritorno in Inghilterra, perché potessi ritrovare quel gruppo, perché ne facessi parte e perché cominciassi finalmente a guardare Giovanni come una persona. Con questo gruppo di Fede e Luce ho imparato a condividere la vita di Giovanni: con quel gruppo, infatti, per la prima volta nella sua vita, mio figlio mi ha lasciata, solo allora ho scoperto realmente mio figlio. Prima di allora, mancavo di distacco, occupata com’ero a lavarlo, a dargli da mangiare, ad alzarlo, a trasportarlo, a spingere la sua carrozzella. Penso di non averlo guardato veramente come avrei dovuto. All’improvviso l’ho visto in fondo ad una stanza giocare e ridere con dei giovani; ho visto la meraviglia che c era in loro a stare insieme e come, grazie al suo grande sorriso, Giovanni comunicava la gioia ai suoi nuovi amici; come sembrava attirarli tutti non solo per essere aiutato da loro, ma perché loro gli volevano bene e trovavano piacere in sua compagnia.

Fede e Luce ha fatto scoprire a me e all’altro mio figlio Martino, la bellezza di Giovanni e ci ha rivelato lo straordinario dono della vita che lui e tutte le persone a lui simili, hanno da offrirci. Man mano che Giovanni diventava adulto, gli amici di Fede e Luce ci hanno insegnato come lasciarlo crescere, diventare autonomo, essere un uomo.
Sono ora diciassette mesi che Giovanni è morto e raccontare questa morte è penoso per me perché ogni parola ravviva il dolore. Ma ugualmente voglio offrire il regalo della troppo breve vita di Giovanni e ringraziare Dio ad ogni istante e in modo particolare Maria che ci ha permesso di incontrare Fede e Luce. Grazie al loro sostegno, infatti, Giovanni è cresciuto sul piano spirituale; di questo aiuto mi rendo sempre più consapevole.
Giovanni, negli ultimi due anni e mezzo della sua vita, si è ammalato gravemente e ha sofferto molto. Non poteva più andare al centro diurno e io ho così lasciato il lavoro per prendermi cura di lui a casa. Durante questi anni, siamo sempre stati sostenuti dagli amici.

Giovanni è cresciuto sul piano spirituale; di questo aiuto mi rendo sempre più consapevole

Nell’ultimo anno di vita, Giovanni, a 23 anni, mi ha insegnato la lezione che considero la più importante di tutte. Mi ha fatto capire, in maniera concreta, che aveva una vita spirituale autonoma, dovuta in gran parte a Fede e Luce.
Il vicario della nostra parrocchia veniva ogni settimana a portare la comunione a Giovanni che non poteva più recarsi in chiesa. Un giorno, 11 p. Gibon annunciò a mio figlio che avrebbe lasciato la parrocchia per recarsi all’estero. Il solo modo per Giovanni di manifestare il suo dispiacere per questa partenza, fu di lasciar scorrere le lacrime sulle guance. Non potendo parlare, questo era il suo solo modo di esprimere la sua pena. Il p. Gibon si commosse e restarono così qualche minuto, tenendosi per mano e piangendo. Prima di partire il p. Gibon mi disse: «Sheila, sei privilegiata ad aver sotto il tuo tetto un essere così puro e senza peccato, una specie di angelo!».

Dopo che se ne fu andato, tornai nella camera di Giovanni e il suo viso mi colpì per l’espressione sofferta ed estranea che non gli avevo mai visto prima. Era insieme un’espressione di ansia, di dolore, di sofferenza o un misto delle tre. Pensavo che soffrisse fisicamente e, a parte questo, il resto sembrava normale. Aveva però sempre quello sguardo impaurito e per tre giorni fu triste e malinconico. Gli avevo fatto cento domande, ma non riuscivo a capire che cosa non andava. Ero inquieta e ansiosa. Infine trovai la risposta: non sarà stata la frase di p. Gibon quando lo aveva paragonato ad un angelo senza peccato? Posi la domanda e la reazione di Giovanni fu immediata e forte. Stringeva i denti mostrando di essere rimasto sconvolto nell’esser stato paragonato ad un angelo senza peccato. Mi sedetti, ripensai che cosa aveva spinto p. Gibon a dire quella frase. Con belle parole era come se avesse negato l umanità di Giovanni. Chi di noi poteva conoscere le sue collere contro Dio? Quali le sue crisi di malinconia? Chi di noi sapeva se non si fosse chiesto perché era nato così gravemente handicappato e perché gli toccava di subire una tale sofferenza? Giovanni non poteva esprimere la sua reazione a parole. Piansi di umiliazione: nulla di quello che cercavo di dirgli sembrava consolarlo.

Pregai Maria intensamente perché ci venisse in aiuto. Due giorni dopo, i polmoni di Giovanni si erano un po’ liberati; io non ne potevo più di restare segregata in casa con lui. Servendomi del suo miglioramento da pretesto, chiesi a Giovanni se gli sarebbe piaciuto fare una passeggiata in auto. Mi fece segno che era d’accordo. Preparato il pic-nic, caricato il suo letto da campo, andammo fuori Londra. Filavo dritto davanti a me. Mi persi e la strada imboccata ad un certo punto mi portò al convento di Elsford nel Kent. Era un giorno feriale di Marzo e non c’era intorno quasi nessuno. Capitavamo lì per la prima volta. Mentre spingevo la carrozzella lungo un viale abbiamo detto il rosario. Poi abbiamo pranzato nel parco; ho sistemato Giovanni sul letto da campo e siamo rimasti all’aria aperta tutto il pomeriggio. Cominciavo a rimettere a posto, quando un monaco che avevamo visto lontano venne verso di noi per parlarci. Non so perché ma mi misi a raccontargli la tortura morale che le parole di p. Gibon avevano procurato a Giovanni. Gli chiesi di aiutarmi se poteva e di consigliarmi. Lo presi in disparte per dirgli che il medico prevedeva che la vita di Giovanni si avvicinava alla fine. Rivenni verso Giovanni e lo presentai al p. Michel che gli disse: «Bene Giovanni, non conosco la lingua che parli ma desidero impararla. Potresti insegnarmela?» Il viso di Giovanni si illuminò di un largo sorriso e cercò con la mano di toccare il viso di p. Michel. Questi spinse il lettino di Giovanni verso lo stagno con le anatre, sotto gli alberi e mi fece segno di lasciarli soli. Dopo tre quarti d’ora p. Michel ricondusse Giovanni, il cui viso splendeva come un fuoco di gioia.

Segreto fra loro due

Rimanemmo d’accordo che avrei riaccompagnato Giovanni ogni volta che lo avesse desiderato se la sua salute lo avrebbe permesso. Siamo ritornati ad Elsford sette volte. Dopo ogni viaggio Giovanni era così tranquillo e raggiante che — devo ammetterlo — ero curiosa di sapere che cosa potevano dirsi in quei lunghi incontri. Sapevo però che questo era un segreto fra loro due e Dio. Dopo tutto, quale ragazzo normale lascerebbe sua madre assistere alla sua confessione?

Quando ricordo quel periodo, so che Giovanni capiva che la sua fine era vicina e che aveva bisogno di un aiuto spirituale per prepararvi e chiedere perdono delle sue mancanze. La pace serena e raggiante che manifestava Giovanni dopo ogni visita al p. Michel non mi lascia alcun dubbio in proposito. Questo mi ha provato la grande importanza dello sviluppo spirituale autonomo per le persone con h. intellettivo. Sei mesi prima della morte di Giovanni, la priora del convento di Santa Chiara ci offrì la possibilità di passare un week-end presso di loro; una sala del piano terra del convento si trasformò in camera per Giovanni. Abbiamo portato la tenda ad ossigeno. Non potrò mai dimenticare l’espressione del viso di mio figlio, mentre, steso sul suo letto da campo ascoltava il coro delle novizie.
I sei mesi che seguirono, videro la salute di Giovanni degradarsi rapidamente. Lo sostennero nella sua terribile prova le preghiere congiunte degli amici di Fede e Luce, dei monaci di Elsford, delle suore e degli amici dell’Arca. Giovanni era al corrente delle loro preghiere e sperava che lo avrebbero sostenuto ed aiutato a morire per cominciare la sua nuova vita in Gesù.
Giovanni morì in pace nel suo letto a casa dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti, attorniato dal p. Michel e dal nuovo vicario. Non so che cosa io e Martin avremmo fatto senza l’affetto ed il sostegno degli amici di Fede e Luce al momento della morte di Giovanni. Il loro affetto e la loro amicizia ci hanno aiutato a superare questa prova. Faccio ancora fatica a parlarne e fatico a partecipare alle riunioni di Fede e Luce senza Giovanni. Io e Martin, però, continuiamo a ringraziare Dio dal profondo del cuore perché ha permesso che gli amici di Fede e Luce ci insegnassero a riconoscere il grande dono che Giovanni è stato per noi e illuminassero la nostra vita spirituale avvicinandoci così a Gesù.

Sheila Murray, 1996

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.52, 1995

Sommario

Editoriale

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Non conosco la tua lingua ma desidero impararla ultima modifica: 1995-12-30T12:44:10+00:00 da Redazione

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