L‘ospedale psichiatrico «Maria Immacolata» di Guidonia (Roma), fondato da Don Uva nel 1955, è di proprietà della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza.
Nel 1978, al momento dell’entrata in vigore della legge 180, l’ospedale ospitava 900 malati che in gran parte non furono dimessi a causa delle loro gravissime patologie. Da allora le nuove ammissioni sono state bloccate, ma circa 650 persone sono ancora lì, e alla malattia si è aggiunto per loro il peso dell’età.
Sono più di 15 anni che il Prof. Ezio Maria Izzo, primario del II Padiglione dell’ospedale, per aiutare i malati destinati a vivere lì, nella solitudine e neH’immobilità, iniziò un’esperienza che per tanti medici e operatori rappresenta oggi un modello. Furono create due piccole cooperative di lavoro protetto all’interno dell’ospedale, ed in tempi diversi, nel corso di questi anni, circa 80 pazienti ne sono divenuti soci. Alcuni di loro (il 10% circa), grazie a questa esperienza riabilitativa, sono stati dimessi. Gli altri hanno trovato in questi lavori il loro definitivo spazio di recupero psico-sociale. La prima cooperativa comprende un luogo di ritrovo, un bar, un piccolo negozio e un laboratorio di ricamo e cucito.
La seconda si occupa di agricoltura e di allevamenti di animali da cortile. Alcuni anni fa nell’ambito di quest’ultima nacque una comunità, una casa famiglia di 18 persone, stabilmente inserita in un edificio annesso all’ospedale, ma significativamente distante circa 300 metri. Qui i pazienti hanno la disponibilità di alcuni locali (dove vivono) e di un grande spazio verde per l’orto e per i loro allevamenti di polli, conigli, tacchini, pecore.

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L’organizzazione e le scelte vengono gestite direttamente dai pazienti con l’aiuto e la supervisione degli operatori che evitano loro tutto ciò che può essere troppo difficile o ansiogeno.
I risultati ottenuti dimostrano che il lavoro può diventare (insieme ad alcuni farmaci somministrati a dosaggi minimi) strumento e mezzo di terapia delle psicosi schizofreniche. Questa esperienza portata avanti per quindici anni, malgrado tanti momenti di difficoltà e di fatica, e il miglioramento dei pazienti, testimoniano la validità dei presupposti e degli obiettivi.
Ma per questo tipo di lavoro, dice il Prof. Izzo, sono necessarie quattro regole di base:

  • Il lavoro non deve richiedere un alto grado di specializzazione.
  • Il lavoro deve essere liberamente scelto, e liberamente deve poter essere lasciato e ripreso. Deve perciò avere valenze creative e nessuna funzione disciplinare.
  • Il lavoro deve lasciare spazio alla fantasia e deve mettere gradualmente colui che lo compie in contatto con il mondo esterno.
  • Il lavoro deve portare sempre alla creazione di un oggetto direttamente legato al soggetto che lo crea.

In conseguenza di tutto questo l’aria che si respira in queste cooperative di Guidonia è stimolante, calda e piena di fiducia. Come ha affermato il Prof. Izzo in un recente convegno di OREUNDICI a Nocera Umbra «nelle relazioni interpersonali, e in particolare nella relazione tra paziente e terapeuta, si gioca il fattore più importante nella determinazione del destino di un paziente. La fiducia sperimentata in una buona relazione terapeutica è la base su cui si costruisce la sua capacità di sperare».
I medici e gli operatori dell’équipe che si occupa dei pazienti impegnati in queste due cooperative sono convinti che in ogni persona esiste sempre un minimo — a volte non solo un minimo — di salute mentale. Su quella parte della persona che funziona ancora, si può fare un grandissimo lavoro; a partire da questo essa può veramente prendere di nuovo in mano la propria vita ed esserne protagonista.
Se questo può avvenire in uno ospedale psichiatrico, con malati gravissimi, può avvenire dappertutto.

Natalia Livi, 1993

Natalia Livi, è stata una delle storiche collaboratrici di Ombre e Luci. Ha contribuito alla rivista dal 1991 al 2004.

Costruire la capacità di sperare (in un ospedale psichiatrico) ultima modifica: 1993-12-23T10:05:27+00:00 da Natalia Livi

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