Maria Cristina parla delle gioie e delle sofferenze dei fratelli e delle sorelle; ci dice quanto abbiano bisogno di aiuto e di sostegno.
Cogliamo l’occasione per ricordare ai fratelli e sorelle di persone con handicap, di scrivere a Ombre e Luci le loro pene, i disagi, le sofferenze, senza riguardo e paura (si possono usare pseudomini, o scrivere lettere personali da non pubblicare).

Agnese è la mia «sorellina». È una ragazza Down: ha sedici anni, io ne ho ventiquattro. Non ho altre sorelle o fratelli. Divoro Ombre e Luci. Spesso le lettere e gli articoli sono scritti da genitori e io mi dico che anche noi, fratelli e sorelle, abbiamo la nostra parte.
Quando nasce un bambino con handicap, bisognerebbe pensare a tutti quelli che gli sono vicino. Mi pare che la vostra rivista non ci presti abbastanza attenzione. Si pensa soprattutto ai genitori; hanno così bisogno di sostegno: la loro vita è sconvolta… ma non dimentichiamo fratelli o sorelle, inquieti, smarriti, soli…

All’inizio è stato facile

Per me, all’inizio, è stato facile accettare mia sorella. Da otto anni aspettavo che arrivasse una sorellina, la desideravo e la sua nascita è stata una grande gioia. Poco alla volta mi hanno spiegato che non era come io speravo, come la sognavo. Vorrei insistere sul fatto che quando il bambino con handicap è piccolo i problemi sono minori, dal punto di vista sociale, intendo. Quando leggo o sento che ci sono persone che hanno adottato un bambino Down e perfino due, che tutti sono felici, i fratelli e sorelle entusiasti, mi dico: «Che bella cosa!» ma ho paura per il futuro.
Quando è piccolo il bambino va all’asilo con gli altri. Il suo aspetto non mette a disagio; la differenza di intelligenza è meno, importante. Per noi è stato così: Agnese è andata alla scuola «normale», ben accolta dai bambini (dalle maestre un po’ meno). Ha fatto danza, musica, è andata al catechismo. Ha ricevuto la prima Comunione, la Cresima, attenta e piena di rispetto per Dio. Queste cerimonie ci hanno dato una gioia immensa: era come se Dio si fosse fatto tangibile.

Quando il bambino con handicap è piccolo i problemi sono minori dal punto di vista sociale… il suo aspetto non mette a disagio, la differenza di intelligenza è meno importante.

Ma ora Agnese non ha nessuna struttura adeguata che l’accolga. Frequenta un centro con altri ragazzi più colpiti di lei. Ha fatto dei passi indietro molto evidenti. Non è più attraente come anni fa.

Non tutti i giorni sono «alleluja»

Agnese e io siamo legate da qualcosa di indefinibile, di straordinario. Lei è triste quando parto, esplode di gioia quando ritorno. Io studio a cento chilometri da casa, ritorno per i fine settimana. Le ho dedicato tutti i miei tempi liberi, le ho dato tutto quello che avevo. Lei mi ha dato molto, non posso negarlo. Eppure, non tutti i giorni sono «alleluja» con lei: quando vedo i miei «amici» voltarsi dall’altra parte e scherzare; quando mi chiedono se ho altri fratelli e sorelle, perché temo che chi me lo chiede possa allontanarsi quando saprà…; quando vedo le persone voltarsi al nostro passaggio, i bambini scappare dietro l’angolo del supermercato quando noi due arriviamo (spesso richiamati dai genitori); quando dobbiamo lottare contro i pregiudizi di certe scuole, di certi insegnanti, di certi preti (anche loro, ahimè, alle volte); quando penso al mio avvenire vicino a lei…

Ma non è certo sbarazzandosi di un bambino così che si farà avanzare la scienza e l’amore!

Ho parlato solo di me perché volevo insistere sui problemi dei fratelli e sorelle, ma non posso tralasciare tutto quanto ha fatto mia madre. Certamente se il suo prodigarsi e il suo amore non fossero stati così grandi, io non avrei avuto lo stesso modo di comportarmi.
Agnese è una donnina simpaticissima. Tutti riconoscono la sua gentilezza, le sue buone maniere. Quando ci vede tristi o abbattuti, ci dice: «Faccio preghiera per te». Anche il messaggio della fede è passato in lei.
Agnese intenerisce il cuore di molti, smaschera molte facciate. Diverse persone hanno capito il vero senso della vita, dell’amore, del donarsi, attraverso lei. Questo è per me una ricompensa.
Quello che ho scritto è molto scucito. Perdonatemi. Non sono abituata a parlare di me e della mia vita. Sono abituata a parlare di Agnese ai miei amici e a rispondere alla loro curiosità e alle loro domande. Molti non capiscono come possiamo farcela a vivere insieme. Spero che, attraverso il mio comportamento, la mia volontà di considerare mia sorella come una persona, facendola esistere per gli altri che non la conoscono, potrò dimostrare che le barriere si alzano solo per la piccineria dello spirito umano e che ogni bambino ha la sua vita, il suo cammino da fare, la sua missione da compiere anche se questa strada è lungi dall’essere scritta, liscia, senza spine.
Un’amica un giorno mi ha detto: «Prima di conoscere te, se avessi saputo di aspettare un bambino handicappato, avrei chiesto l’aborto. Ora, penso che l’accetterei».
Mi sono sentita piena di gioia. Mi è sembrato un regalo. Sapevo che lo dovevo ad Agnese.

Maria Cristina, 1989
(O. e L. n. 82)

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Non è sempre facile essere sorella ultima modifica: 1989-06-25T18:49:50+00:00 da Redazione

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