Con il quarto numero di Ombre e Luci, siamo a Natale, la festa di famiglia più tradizionale. Non c’è Natale infatti che non veda la famiglia allargarsi ai parenti, le tavole allungarsi e addobbarsi a festa, le cucine in fermento per i preparativi del pranzo festivo. È così bello ed è bello che sia così. In fondo, anche se in molte famiglie si dimentica, festeggiamo il 1989simo compleanno di un Bambino eccezionale, venuto al mondo e fatto uomo per cambiare i nostri cuori.
È una festa che ci commuove, che risveglia in ogni uomo sulla terra un desiderio di tenerezza, di calore, di gioia e di pace serena. Per questo forse la si festeggia in famiglia, riuniti intorno al Presepe e alla tavola.
Ci sono però…. Oh, quanti «però» vengono alla mia mente. E tutti voi, carissimi lettori, giovani e adulti, sapreste elencarne più di me. Per questa volta, soffermiamoci su un solo «però»… non per escludere i molti altri che ci sono e che ci stringono il cuore, come la sofferenza di tante persone nel mondo.
Il «però» su cui fermare la nostra attenzione è quello di mamme e papà che abitualmente non possono far sedere a tavola con gli ospiti il loro bambino, la loro figliola, perché troppo seriamente colpiti nel fisico, nella psiche, nel comportamento. E una prova che si ripete ad ogni festa di famiglia e che si fa sentire in modo particolare il giorno di Natale. Pappe speciali, frullati, passati, mele grattugiate, banane schiacciate, succhi di frutta, omogeneizzati, sono pranzi normali per bimbi piccoli. Ma quando il ragazzo non sa masticare o deglutisce con enormi difficoltà; quando ogni boccone richiede tempo e pazienza infinita e la cosa si trascina per anni e anni… Quando il ragazzo rifiuta di sedersi a tavola perché vuol mangiare da solo, in cucina, a modo suo… Quando, ancor peggio, piatti e bicchieri attirano la sua attenzione in modo irresistibile come cose da far volare e mandare in frantumi…
Chi sa, chi vive questi avvenimenti così stressanti giorno dopo giorno, come può sedersi con gioia al pranzo natalizio? E i fratelli, le sorelle, gli zii, i nonni, i cugini, come possono non essere tristi per questo disagio?
Certo, non si può generalizzare, perché ogni caso è a sé, ma vorrei ricordare che, in questi casi, l’atteggiamento peggiore è quello di chiudersi; è quello di dire: «Tanto, se lui non può, o con lui in questo stato, come si fa a far festa?».
So, per averlo vissuto, che questa non è la soluzione migliore, né per mamma e papà, né per i fratelli, né per i parenti. Quando c’è una bella festa, bisogna fare in modo che anche lui, o lei, vi partecipino secondo le loro possibilità.

Anche il bambino più difficile può essere educato

Ci vuole tempo, alle volte, prima di avere il coraggio di fare certi cambiamenti; ma è così importante farli e cominciare a farli!
La prima cosa da cambiare è l’atteggiamento della mamma: credere di essere la sola capace di dare da mangiare al figlio difficile è spesso una non verità che va sfatata e che può essere vinta solo con la fiducia in un altro al quale si insegna come fare. Risulterà forse, che l’altro è più bravo, soprattutto dopo che avrà imparato l’arte e proprio perché è meno coinvolto psicologicamente della mamma. Così la mamma potrà gustare un po’ di libertà in qualche occasione o semplicemente essere un po’ più disponibile per gli altri o anche solo per se stessa.
Un’altra cosa importante è non essere mai sicuri della impossibilità dei cambiamenti. Io ho pensato per 12 lunghi anni che mia figlia non avrebbe mai mangiato da sola e avrei giurato che non avrebbe potuto farlo. E poi, un giorno, un educatore che sapeva il fatto suo l’ha spuntata. Gliene sono grata ancora oggi perché ha dato un colpo di piccone alla mia «sicurezza» materna.
Infine mi permetto di chiedere alle mamme (e non solo a loro…) di non cedere mai all’idea che quando un bambino è gravemente handicappato non c’è che da accontentare ogni suo desiderio per manifestargli il nostro amore. Per quanto questa sembri la cosa più umana e normale, sono convinta che, come ogni persona che si rispetti, anche il bambino più difficile può essere educato; a piccoli passi, a piccole dosi, certo; e dopo ogni piccolo progresso, ce ne sarà sempre un altro da fare, soprattutto a tavola. Non è importante solo ciò che si mangia, ma come si mangia.
Anche se non sarà facile farlo sedere a tavola con tutti, perché in certi casi è veramente impossibile, si può e si deve, a mio parere, farlo partecipare il più possibile alla vita con gli altri membri della famiglia, non fosse che per qualche minuto: per intingere il dito nella coppa di spumante e posarlo delicatamente sulle sue labbra, augurando in coro: «Buon Natale anche a te!».

Mariangela Bertolini, 1989

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.28, 1989

Sommario

Editoriale

Buon Natale anche a te di M. Bertolini

Articoli

Mangiare insieme di Nicole Schulthes
Il bambino che non vuole mangiare di Paul Lemoine
I pasti di Francesca: un’avventura di Jacques La Brousse
Dove, se non in chiesa? di Joseph Bernardin, cardinale
Un grande progetto a piccoli passi di Maurice e Michèle Antoine
Le case della carità di Sergio Sciascia

Rubriche

Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce

Libri

Per insegnare bisogna saper osservare a cura della Redazione

Buon Natale anche a te! ultima modifica: 1989-12-26T11:25:32+00:00 da Mariangela Bertolini

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