Simone

Faccia tonda da bambino, capelli biondi a caschetto, corporatura rotondetta; Simone sembrerebbe il classico «pacioccone» se non fosse per gli occhi. Le pupille castane girano continuamente irrequiete: in alto, in basso, a destra, a sinistra, e poi di nuovo in alto, in basso… sono il segnale della costante irrequietudine interna che si manifesta anche con improvvisi scoppi di collera, proteste ad alta voce, gesti inconsulti. Ma ciò che rende più difficile la sua carriera di studente è l’impossibilità di Simone a concentrarsi, di seguire il filo di un ragionamento appena un po’ complesso. Sembra capire in un lampo, ma un lampo dopo è di nuovo assente, incapace di riprendere il filo, di fare ordine fra le sue idee, di scegliere la risposta giusta. Appare rilassato e del tutto sereno solo quando può disegnare ciò che gli piace, quando prepara la storia per i burattini.

Un giorno, nel tentativo di capirlo meglio, gli ho detto che volevo parlare con sua madre. Ha subito preso nota nel suo diario ma, durante la ricreazione mi si è avvicinato.

«Professoressa, io mia madre gliela mando (sic!) ma non faccia caso se dice cose strane perché ogni tanto lei deve andare in casa di cura».

Franco

Franco è un ripetente, fratello di pluriripetenti, destinato ad altre ripetenze. Bruno e robusto, fiero della sua forza e della sua «grinta», gode fama di capetto, svelto di mano, prepotente, generoso con chi protegge. Quando è in classe sembra in gabbia: sogghigna, lancia occhiate di traverso aspettando solo il momento adatto per lanciare la battutaccia o qualche verso o grido di battaglia che fanno ridere i compagni e impazzire i professori. Di studiare non se ne parla; se qualche argomento lo interessa fa di tutto per non darlo a vedere, interviene per dire la sua, come per caso, ma poi, se il suo intervento è lodato, fatica a nascondere la sua soddisfazione. Se qualcuno lo contrasta o lo punisce, grida, minaccia, ritorce le accuse contro altri compagni.

Ho notato che le sue azioni di disturbo e le sue violenze sono direttamente proporzionali alle sue difficoltà scolastiche. Raggiungono il grado più alto nelle ore di inglese di cui non possiede la minima nozione, mentre sono molto più rare quando si legge, si commentano fatti, si discute; tutti momenti che gli consentono di intervenire più alla pari con i compagni. Mi domando: quanto potrebbe modificarsi il suo comportamento, quanta serenità avrebbe in più, se le sue conoscenze fossero appena più sicure e numerose?

Federica

Federica frequenta la prima media per il secondo anno consecutivo. Sembra avere reali difficoltà nell’apprendimento di nozioni astratte e si esprime con molte incertezze. Mi mette in difficoltà perché regolarmente smentisce l’opinione che mi sono fatta su di lei. Temevo a volte che si sentisse messa da parte dai compagni e intervenivo per evitarlo ma rischiavo di infastidirla perché mi sono accorta che è lei in certi casi a scegliere il banco più appartato, è lei che decide di passeggiare da sola durante la ricreazione osservando i compagni. Ciò non toglie che nel pomeriggio con il suo pallone monopolizzi l’attenzione organizzando le squadre per la partita di pallavolo.

Cercavo di proteggerla, non interrogandola quando l’argomento mi sembrava troppo complesso o evitavo di farle leggere un lavoro di casa che presentava particolari difficoltà. Ma proprio in questa occasione un mattino, ha buttato il suo quaderno per terra piangendo «…ma io ho faticato tanto, se non me lo fa leggere che ho lavorato a fa’ !»

Credevo che un compagno la infastidisse prendendola di mira con le sue sciocche battute, con gli atteggiamenti da gradasso, ma il giorno che Federica nel tema ha parlato dei suoi compagni ha rivelato che «Carlo è un ragazzo divertente, che mi fa ridere ed è anche gentile…». Forse, cara Federica, invece di tante attenzioni, non avrai bisogno, anche da parte mia, di un atteggiamento più franco, meno cauto ma in qualche modo più coinvolgente e stimolante? Non sa niente di storia, ma capisce l’animo umano. Qualche giorno fa, esasperata dalle intemperanze del solito Carlo, ho fatto una sfuriata nel silenzio attonito e timoroso della classe. Ma in una pausa della mia intemerata si è udita la voce bassa di Federica «… che pazienza che ce vole, professo!…» e così l’eccessiva tensione si è sciolta in una risata.

Carla

Piccolina, minuta, grandi occhi attentissimi, Carla ha scelto il silenzio. Da qualche anno, questo è la sua difesa, il mantello magico che la protegge dalle domande difficili, dalle indagini sulla sua vita privata. Ma da quando? Nessuno lo sa con precisione: la mamma stessa parla vagamente «degli ultimi anni delle elementari» ; forse da quando alcuni episodi avvenuti in famiglia hanno eccitato la curiosità malevola dei vicini e dei compagni di scuola? O forse da quando ciò che le insegnanti le chiedono è troppo difficile da capire e da spiegare? O da quando ha scoperto che i compagni ridono se si sbaglia sempre, mentre il silenzio continuo li intimidisce? E così, Carla, tacendo, si difende dalle umiliazioni; fingendosi sorda protegge la sua famiglia ma, contemporaneamente, recide i fili della comunicazione con gli altri, nascondendo le sue opinioni, le preferenze, le antipatie. Sta in classe, ma non vive la vita della classe e i compagni pian piano la dimenticano. Poi un giorno, chi accetta i suoi silenzi senza cessare di parlarle, scopre che Carla sa ancora parlare, che con voce bassissima e linguaggio adeguato racconta del suo gattino, del bambino buffo che ha visto per strada, dello spettacolo televisivo… di tante cose purché non si parli di scuola, di fatti personali. Basta poco, un accenno sbagliato, una domanda tesa a capire se sa, se è in grado di ripetere, ed allora il silenzio ridiventa corazza impenetrabile.

Forse, un giorno, se qualcuno non si stancherà di parlarle, quando i problemi famigliari non la opprimeranno tanto, o quando la scuola non le chiederà cose troppo lontane dalla sua capacità, il silenzio si rivelerà per quello che è veramente: non una malattia, non una stranezza psicologica ma una difesa inventata da una bambina impaurita ed orgogliosa, una difesa che non serve più.

Dal diario di un’insegnante ultima modifica: 1987-06-28T12:13:59+00:00 da Redazione

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