Nel luglio scorso a Santo Domingo (Rep. Dominicana) si è tenuto un incontro internazionale di Fede e Luce. Vi hanno partecipato 120 persone da tutti gli angoli del mondo.
Ecco le prime impressioni di Marianna Mihelcic, scritte per il foglio «Lucka» di Fede e Luce jugoslava.

Uniti in Fede e Luce

L’incontro di Santo Domingo è stato così pieno di esperienze che non posso descriverlo in poche parole. Non ci siamo riuniti per i nostri interessi ma nel nome di tutti quelli che sono in qualche modo vicini alle persone con handicap mentale.
Vorrei che ognuno potesse vivere la gioia e la pienezza dell’amicizia nel Cristo quando la sofferenza si trasforma in beatitudine. Cercherò di descrivere i momenti vissuti in queste due settimane.
P. Rado ed io ci troviamo all’aereoporto di Parigi che è un vero formicaio dai viaggiatori più diversi. Raggiungiamo il gruppo dei 18 francesi che partono per la stessa destinazione. L’aereo decolla. La realtà del viaggio entra lentamente in me. Non mi domando più il perché di questo viaggio; cerco di capire il significato di questi momenti che sono per me come la preparazione della terra prima che i semi gettati nei giorni futuri possano portar frutto. (…)
All’aereoporto di Santo Domingo riceviamo una doppia accoglienza «calorosa».
Benché siano le 11 di sera l’asfalto emette ancora il calore che ha ricevuto durante la giornata ed è come un forno dopo la cottura del pane. Presto non sentiamo più questo calore insolito perché due amici di S. Domingo con grossi pannelli FEDE E LUCE ci sorprendono prima che passiamo la dogana. Com’è bello incontrare in un paese sconosciuto delle persone che vogliono farti sentire a casa.
Davanti all’aeroporto un veicolo che sembra a stento una macchina europea ci aspetta. Più tardi constatiamo che era ancora una delle migliori in circolazione. Dopo qualche minuto strappato al sonno vedo il cartello: Santo Domingo, 12 Km.
Allora, è vero, arriviamo. Ma non mi riesce ancora di entrare nella realtà perché vivo ancora nel tempo europeo dove sono le sei del mattino.

Chi ci accoglie capisce la nostra stanchezza e dopo brevi saluti con i responsabili dell’incontro siamo condotti in un seminario dove passiamo la notte.
Siamo in una piccola stanza. Ha dei muri costruiti solo a metà, una tenda al posto delle porte, l’armadio si tiene in piedi grazie a una pietra; là c’è un tavolino di ferro, una sedia e un letto pure in ferro. La stanchezza mi invade troppo violenta e non penso a come i seminaristi ci vivano. Mezza addormentata osservo un grosso ragno e mi stupisce una così bella decorazione in mezzo a tanta povertà. Il giorno dopo però non c’è più… Prima di rendermi conto di questa strana realtà, un animale simile ad una lucertola viene a dirmi buongiorno. Guardandomi con affabilità, continua la sua strada sul muro senza eccitazione. Ma io, mai probabilmente nella mia vita sono uscita dal letto tanto velocemente…
Già presto al mattino il sole brilla e riscalda. Ma sì, siamo nella Repubblica Dominicana dove non si conosce altra stagione e dove non c’è bisogno di ascoltare le previsioni del tempo alla radio. A mezzogiorno talvolta c’è un temporale rinfrescante, ma un minuto dopo c’è di nuovo il sole.

Dopo la colazione tropicale (ananas e uova), visitiamo la città. Ad un incrocio dove la macchina si ferma, gli abitanti della città si accorgono subito che siamo stranieri bianchi. A ogni finestrino appaiono piccole teste nere. Davanti, un ragazzetto pulisce il vetro, per qualche pesos naturalmente. A destra un altro vende mango, un altro ananas, a sinistra noci di cocco, banane e frutti di cui non conosco il nome. Fra le macchine un ragazzo che porta sulle spalle un amico handicappato, chiede denaro. Il semaforo è verde: la prima immagine della realtà dominicana resta dietro di noi.
Il centro della città con i numerosi negozi e macchine fuori moda, dà un’impressione tipica del sud America. Se hai più soldi puoi trovare ciò che vuoi. I negozi sono pieni ma quel che si vede testimonia una grande povertà. Per fortuna il clima è favorevole alla natura che offre abbastanza cibo perché non vi sia carestia.
Camminando guardo i visi gentili dei Dominicani. Nessuno passa accanto all’altro senza lasciargli un sorriso, ognuno ha per l’altro un gentile saluto.

Hanno tempo per essere felici, hanno tempo per l’altro, per una conversazione in pace sotto le palme. Malgrado la povertà non hanno l’ansia di un «domani migliore». Un gruppo di bambini attorno a noi ci chiede di fotografarli come se volessero dire: «Mostrate a tutti che siamo contenti!».
Passiamo il pomeriggio dai gesuiti che ci ospitano. Qui è meraviglioso: qualche giorno prima del nostro arrivo un grande cactus di dieci metri s’è vestito di fiori. Un parco ben curato, fiori interessanti e sconosciuti, il mare all’orizzonte. Le stanze sono calme e semplici.
Il giorno dopo, io e Rado, andiamo a far visita a un sacerdote sloveno che vive a S. Domingo da 50 anni. È bello incontrare un uomo nell’autunno della sua vita consacrata tutta al servizio di Dio.
La serenità sul suo viso pieno di rughe dice che è felice nel suo cuore. Ha formato una parrocchia di 50.000 abitanti, in una zona molto povera; ha costruito una scuola, la chiesa. Sono i frutti che si possono vedere. Ma solo Dio sa quali frutti invisibili ha suscitato nella gente. Una donna viene e gli mette qualcosa nelle mani: era esattamente la somma che il tassista aveva chiesto per condurci da lui. Tutto è nel piano di Dio.
È il pomeriggio del secondo giorno.
Alle quattro indossiamo ciascuno i costumi nazionali; prendiamo le bandiere e ci uniamo agli altri partecipanti. Ci aspettano per l’apertura solenne dell’incontro.
Il nostro costume è fatto per la fredda Slovenia e comincia quasi a fondere a 35°C.
Ci riuniamo in un immenso prato e ci ammiriamo. Ogni persona è meravigliosa nella sua unicità. Non solo per i vestiti colorati ma per il messaggio che porta sul viso, nel corpo, attraverso i gesti.
Dopo i saluti di Jean Vanier e di M.H. Mathieu, la gente del paese ci accoglie e noi ci presentiamo uno dopo l’altro. Qui è il mondo in piccolo: gente di 35 nazionalità, di razze diverse, religioni, convinzioni; dalla Nuova Zelanda e dalle Filippine fino all’India e all’Africa; da isole che non conosco fino alla Norvegia, Canada, Brasile, ecc. Ascoltiamo i canti di ogni paese; un lieve vento fa ondeggiare gli stendardi. Sarà più bello in cielo? È davvero il cielo sulla terra perché siamo riuniti nel nome del Signore. Malgrado le differenze Dio ci unisce, quel Dio che incontriamo nelle persone ferite. Portiamo tutti un segreto della sofferenza ma che attraverso Cristo si trasforma in gioia di redenzione (…)

Marianna Mihelcic, 1986

Festa della luce ad Abano Terme

Nella casa di Gesù, gremita di gente, proprio nei primi banchi, c’erano i nostri ragazzi, accompagnati da noi genitori, accolti con premurose attenzioni da Agnese Malatrasi.
Monsignore officiava la messa e all’omelia, tenuta con rara sensibilità, le sue parole echeggiavano nella Chiesa in un silenzio carico di attenzione. Poi, un gesto commovente: sceso dall’altare si è avvicinato ai primi banchi, e uno a uno ha salutato, abbracciato, accarezzato tutti i nostri figli. Ed essi, anche i più gravi, se ne sono rimasti tranquilli: sentivano, percepivano quell’atmosfera particolare che aveva preso l’anima di tutti.
Alla fine della cerimonia la festa è continuata. In patronato era stata preparata una lunga, lunghissima tavola, adornata di fiori e festoni, con piatti di porcellana, calici, tovaglioli di stoffa. Sembrava una festa di nozze! I ragazzi e noi mamme, ci sentivamo felici. Mai eravamo stati così a nostro agio. C’era, fra gli organizzatori, chi si preoccupava di intonare qualche canto per «creare atmosfera». Non era necessario: noi genitori eravamo troppo impegnati a vivere quei momenti di gioia. Non c’era tempo: dovevamo rinnovare conoscenze, ricordare, darci appuntamenti e soprattutto vivere, fino in fondo quei momenti «speciali», perfettamente inseriti in una comunità che aveva voluto dimostrare disponibilità, affetto, partecipazione, amicizia. Ore serene, magiche, spero non irripetibili.
Ancora un grazie a chi ci ha offerto tutto ciò, a coloro che hanno lavorato per tutti noi, donandoci la possibilità di non sentirci soli, unici, rari, diversi, in una società consumistica il cui modello d’uomo è tanto lontano dall’essere uomo vero!

Piera Cipresso , 1986

Francesco Gammarelli il 3 luglio ci ha lasciato

Avrebbe dovuto partire per S. Domingo dove dal 9 al 20 luglio si è tenuto un Incontro Internazionale di Fede e Luce.
Riportiamo la lettera che Francesco ha dettato a sua moglie, Olga, pochi giorni prima di morire:

Ai partecipanti dell’incontro Internazionale Fede e Luce a Santo Domingo.
«Sono desolato di non essere presente con voi a Santo Domingo ma conoscete tutti la mia situazione e quando riceverete questa lettera, io non sarò forse più in questo mondo.
Mi piacerebbe scrivere molte cose ma il tempo si fa breve e il mio spirito non è più chiaro come prima. Vorrei solo parlarvi del tempo che ho passato in ospedale. Lì ho imparato qualcosa di molto importante: c’è sempre gente che soffre più di noi e la maggior parte sopporta la sofferenza con serenità. Ho anche scoperto che quando siamo in buona salute non soltanto non sappiamo apprezzarla ma non pensiamo di ringraziare il Signore.
Personalmente ho ricevuto un insegnamento fondamentale, il più grande della mia vita. Jean Vanier ci ha parlato spesso del Buon Pastore e di come ognuno di noi che ha una responsabilità a Fede e Luce deve diventare un buon pastore. Ma forse è più facile diventare un buon pastore che diventare una vera pecora.
Quando eravamo riuniti a Goteborg con il Consiglio Internazionale, durante una celebrazione ci siamo lavati i piedi a vicenda.
Nei giorni passati all’ospedale sono stato sempre la pecora cui hanno lavato i piedi e non solo i piedi, capite quello che voglio dire. In quei momenti dobbiamo diventare molto umili e dobbiamo sbarazzarci della nostra vanità e del nostro orgoglio perché se non arriviamo realmente all’ultimo grado della semplicità non potremo mai essere una pecora di Gesù-Pastore.
Vi auguro a tutti un incontro pieno di frutti.»

Francesco Gammarelli, 1986

Ho provato un vuoto dentro il mio cuore

Da quando sto a Fede e Luce, Francesco Gammarelli è una di quelle persone che ho conosciuto subito.
Faceva parte del nostro gruppo di Santa Silvia. A me è sembrato una persona carissima e intelligente, ci ha aiutato molto al nostro gruppo per gli incontri di Fede e Luce. Era una persona molto attaccata a tutti, e aveva sempre il sorriso sulle labbra.
È venuto con noi al pellegrinaggio ad Assisi, non stava tanto bene, e io ho provato un vuoto dentro al mio cuore a vederlo in carrozzella e da li ho capito che non stava bene.
Dopo Assisi Francesco Gammarelli si è ricoverato un’altra volta per fare le ricerche, e quando lui stava all’ospedale, sono andata due volte con papà a trovarlo.
L’ultima volta che volevo andarci non era più all’ospedale, ma era a casa. L’impressione più forte l’ho avuta in chiesa al funerale, vedendo tanti amici così commossi, però ripensandoci bene dico che abbiamo un amico in più nel cielo che prega per noi.
Il Signore gli dia pace e conforto per i suoi cari!

Mirella Stefani, 1986

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.15, 1986

Sommario

Editoriale

Se loro non si muovono di Mariangela Bertolini

Articoli

La fortuna di avere Daniela di Gertrude Calenzani
Per un risveglio religioso dei più handicappati di Henri Bissonier
Casa Sacra Famiglia 
Mary Mount: Settimana al Sole di Nicole Schulthes

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce

Vita Fede e Luce n.15 ultima modifica: 1986-09-25T13:45:42+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.